Sant’ Oliva di Palermo, vergine e martire
Il nome deriva dal latino Oliba, documentato solo in avanzata età cristiana e tradizionalmente connesso con il termine oliva, variante di olea, che in latino indica sia l’albero che il suo frutto, l’oliva.
La Santa non è menzionata in alcun Martirologio latino, che pure riportano i martiri della persecuzione vandalica, né della Chiesa Greco-Sicula, ove non esiste alcuna memoria del suo culto.
Un noto studioso dell’Agiografia sicula, il benedettino Domenico Gaspare Lancia di Brolo scrisse: “Molti scrittori siciliani vogliono il martirio di S. Oliva durante la persecuzione vandalica, ma senza sicuro fondamento, poiché mancano gli Atti del suo martirio e pochi cenni si trovano nell’antico Lezionario Gallo-Siculo senza nota cronologica, così che possono bene convenire alla persecuzione dei Vandali come a quella dei saraceni. Tanto i primi che i secondi deportavano in Africa; costringevano talvolta i vinti a rinnegare la propria religione, punivano con la morte coloro che cercavano di fare proseliti”.
Ma la Leggenda di S. Oliva non ha nulla di inverosimile perché non si debba ricevere: infatti ha delle straordinarie somiglianze con il martirio di altri Santi… “.
Secondo Mons. Paolo Collura “Il nucleo essenziale delle nostre antiche Leggende ha un substrato che non deve essere sottovalutato e poichè la dominazione araba (827-1092) proprio in Sicilia fece piazza pulita di tutti i documenti scritti sacri e profani, il ricordo di parecchi Santi ci è stato tramandato soltanto sul filo della memoria. La più antica notizia di lei nella Città di Palermo risale al 1310, mentre il Corpo si trovava ancora a Tunisi, in una piccola Moschea che sorgeva vicino quella grande, detta in arabo ” Gamie Azzaytun ” (dell’ulivo e di Oliva), diventata poi basilica cristiana. Nel 1402 il re Martino I lo richiese al Califfo Abû Azir, ma ne ebbe un rifiuto, poiché ancora oggi i tunisini, presso i quali è ancora oggi venerata, credono che la loro religione e la loro dominazione tramonterà quando scomparirà il Corpo della Vergine Oliva.
La memoria della Santa è ricordata non solo nell’antico Breviario Gallo-Siculo del sec. XII che si conserva ancora a Palermo, ma anche in una antichissima tavola dove appare dipinta la sua immagine con S. Elia e le Sante Rosalia, Venera, custodita nel Museo Diocesano di Palermo.
Fanno memoria di lei il Martirologio Siculo del P. Gaetani S.J. e il Martirologio Palermitano del Mongitore del 1742.
“A Tunisi il martirio di S. Oliva vergine e martire, cittadina palermitana e patrona principale, la quale, nata da nobile famiglia, ancora fanciulla, nella persecuzione vandalica per la fede di Cristo cacciata in esilio, a Tunisi attrasse molti alla fede cattolica; superati poi l’eculeo, le unghie di ferro e il fuoco, divinamente liberata dall’olio incandescente, troncato alla fine il capo, le fu data la corona del martirio, la cui anima, tutti ammirando, sotto forma di colomba volò al cielo l’anno 463 “.
Oltre al Breviario Gallo-Siculo fà menzione di Lei anche il Breviario Cefaludese.
Da esso apprendiamo che:
“La Vergine Oliva si crede nata a Palermo da nobile famiglia in un luogo vicino alla Chiesa Cattedrale e fin dall’infanzia fu piamente istruita nella religione cristiana.
All’età di 13 anni fu mandata in esilio dai Barbari in Africa perché cristiana e lì punita atrocemente.
Arrivata a Tunisi, per ordine del governatore, fu costretta a vivere tra i mendicanti, soffrendo la fame,la sete, il freddo, la nudità; guarì dalla storpiezza due di loro e li battezzò nel nome di Gesù Cristo.
Quando questi neocristiani cominciarono a predicare e a far conoscere la loro fede pubblicamente, furono arrestati dai soldati ed uccisi atrocemente: le loro anime volarono in cielo con la corona del martirio.
Oliva, in seguito a questi fatti, fu condotta con disprezzo in giro per la Città e fu trasferita in una lontana foresta per essere divorata dalle fiere. Alcuni cacciatori, accortisi della fanciulla, furono convertiti alla fede di Cristo e battezzati a loro volta.
La fede di Oliva fu provata con l’eculeo ed unghie di ferro; fu immersa tra le fiamme e nell’olio bollente, ma divinamente salvata, mentre appariva più costante nella confessione della fede, le fu amputata la testa e fu vista salire in cielo sotto forma di colomba. Il Corpo fu portato dai Cristiani a Palermo e seppellito religiosamente in un luogo sconosciuto “.
Quel luogo è stato identificato dagli storici, come l’Inveges, presso Casa Professa o, secondo altri, nella chiesetta a lei dedicata fin dal 1310 nella Chiesa di S. Francesco di Paola.
Alla fine del 1500 il culto fu diffuso dai Francescani, che ne ricercarono il Corpo.
Il popolo e il Senato palermitano il 5 Giugno 1606 elessero Sant’ Oliva Patrona della città con le sante Ninfa ed Agata. Fu iscritta nel Calendario Palermitano dal Cardinale Giannettino Doria nel 1611 e celebrata dalla Chiesa Palermitana fino al 1980 come Memoria Obbligatoria; dal 1981 è stata espunta dal Calendario Liturgico Regionale, ma nella Città di Palermo può essere sempre celebrata con il grado di Memoria facoltativa.
Le è stata dedicata una Parrocchia della Città nel 1940, mentre il culto è vivo a Pettineo (ME) e a Raffadali (AG), ove è Patrona principale e nella Chiesa Cattedrale di Tunisi, a lei intitolata.
Lo stesso giorno nel Martirologio Romano, la Chiesa commemora:
– Ad Auxerre nella Gallia lugdunense, in Francia, san Censurio, vescovo.
– A Parigi nel territorio della Neustria, sempre in Francia, san Landerico, vescovo, che per assistere i poveri in tempo di carestia si tramanda abbia venduto la sacra suppellettile e costruito un ospedale accanto alla cattedrale.
– A Rochester in Inghilterra, sant’Itamáro, vescovo, che, primo tra la gente di Canterbury ad essere chiamato all’ordine episcopale, rifulse per cultura e sobrietà di vita.
– A Dobrowo in Polonia, anniversario della morte di san Bogumilo, vescovo di Gniezno, che, dopo aver lasciato la sua sede episcopale, condusse qui vita eremitica, consumandosi in una vita austera.
– A Bologna, beata Diana d’Andalò, vergine, che, superati tutti gli impedimenti posti dalla famiglia, emise voto di vita claustrale nelle mani dello stesso san Domenico, entrando nel monastero di Sant’Agnese da lei stessa fondato.
– A Treviso, beato Enrico da Bolzano, che, boscaiolo e analfabeta, distribuiva tutto ai poveri e, per quanto indebolito nel fisico, mendicava tuttavia saltuarie elemosine che spartiva con gli altri mendicanti.
– A Budapest in Ungheria, transito del beato Giovanni Dominici, vescovo di Dubrovnik, che, al termine della Peste Nera, riportò nei conventi dei Predicatori in Italia l’osservanza della disciplina e, mandato in Boemia e in Ungheria per contrastare la predicazione di Giovanni Hus, morì in questa città.
– A Londra in Inghilterra, beati martiri Tommaso Green, sacerdote, e Gualterio Pierson, monaco della locale Certosa, che, per essersi opposti alla rivendicazione da parte del re Enrico VIII dei supremi diritti in materia ecclesiastica, furono rinchiusi in un sordido carcere, dove, consunti dalla fame e dalla malattia, incontrarono una morte gloriosa.
– Nella città di Moerzeke-lez-Termonde vicino a Gand in Belgio, beato Edoardo Poppe, sacerdote, che, pur tra le difficoltà del suo tempo, con gli scritti e la predicazione diffuse nelle Fiandre l’istruzione cristiana e la devozione verso l’Eucaristia.