San Camillo de Lellis, sacerdote

Da una vita randagia e dissoluta alla santità. Dal peccato alla grazia. Dall’egoismo alla carità. Camillo de Lellis, il santo che si festeggia oggi, è un esempio di cosa può Dio quando gli consentiamo di irrompere nelle nostre esistenze: non importa il punto di partenza, spesso intriso di fango.  Nato a Bucchianico, nei pressi di Chieti, il 25 maggio 1550, da un ufficiale di nobile famiglia al servizio dell’imperatore Carlo V, e da una madre già avanti nell’età (era sessantenne quando lo diede alla luce) Camillo fu un fanciullo vivace e irrequieto. Imparò a leggere e a scrivere, cosa non di poco conto all’epoca, ma quando, a tredici anni, gli morì la mamma, non disdegnò i tumulti di una vita vagabonda.

Nel 1568 Camillo si arruolò, al seguito del papà, militare di carriera, nell’esercito della repubblica di Venezia in lotta contro i turchi, ma ben presto rimase orfano anche di padre. Frequentando i soldati, ne imparò linguaggio e passatempi, fra i quali il gioco delle carte e dei dadi. Privo di risorse, fu costretto a causa di un’ulcera varicosa al piede, a cercare, come infermiere, delle cure gratuite all’ospedale di San Giacomo degli Incurabili a Roma. Dopo un mese, però, da quel posto fu allontanato a causa della sua passione per il gioco. Fisicamente Camillo era un gigante, alto quasi due metri. Ed chi lo conosceva lo descriveva di buon cuore. Parzialmente guarito, Camillo pensò che gli conveniva proprio fare il militare mercenario e con la seconda Lega fu mandato, al soldo della Spagna, prima in Dalmazia e poi a Tunisi. Fu congedato nel 1574, perse ogni suo avere al gioco.  Per vivere, dovette mendicare finché non trovò lavoro come manovale nella costruzione del convento dei Cappuccini di Manfredonia (Foggia).

Alla fine, la conversione. Il 2 febbraio 1575 Camillo decise di abbracciare la vita cappuccina; lui, discendente da famiglia nobile, avrebbe atteso ai più umili uffici della comunità. Ottenne di vestire l’abito, ma dopo qualche mese l’ulcera varicosa si riaprì. Dovette così ritornare a San Giacomo degli Incurabili dove maturò la sua vocazione. Rifiutato per lo stesso motivo, una seconda volta, dai Cappuccini, Camillo decise di consacrarsi come infermiere al servizio dei malati sotto la direziono di S. Filippo Neri (+1595), l’apostolo di Roma.Dal momento che il personale infermieristico era, in genere, reclutato tra gente rozza e incapace, fin dal 1582 egli pensò di riunire in un’associazione dei compagni che, come lui, si fossero dedicati completamente alla cura dei malati. Un primo tentativo fallì per l’incomprensione dei direttori dell’ospedale. Camillo si convinse allora che era necessaria una famiglia religiosa indipendente. Per raggiungere lo scopo era necessario che egli, a trentadue anni, si rimettesse sui banchi della scuola, frequentasse al Collegio Romano i corsi di S. Roberto Bellarmino e di Francesco Suarez, pur continuando a visitare e a curare i malati. Nel 1584 Camillo poté celebrare la sua prima Messa.  Fondò l’Ordine dei chierici regolari ministri degli infermi, noti con un nome indissolubilmente legato al suo: Camilliani. Morì il 14 luglio 1614.

 

Lo stesso giorno nel Martirologio Romano, la Chiesa commemora:

– A Brescia, sant’Optaziano, vescovo, che sottoscrisse le lettere sinodali sulla fede cattolica riguardo all’Incarnazione mandate da Eusebio di Milano al papa san Leone.

– A Soignies in Austrasia, nel territorio dell’odierno Belgio, san Vincenzo o Madelgario, che, d’accordo con la moglie santa Valtrude, abbracciò la vita monastica e si dice abbia fondato due monasteri.

– A Deventer in Frisia, oggi in Olanda, san Marchelmo, sacerdote e monaco, che, di origine inglese, fu sin dall’infanzia discepolo di san Villibrordo e suo compagno nelle opere sostenute per Cristo.

– In località Stáry Kynsperk vicino a Eger in Boemia, beato Croznato, martire, che, morti la moglie e il figlio, si dice abbia lasciato la corte ducale per entrare tra i monaci premostratensi di Teplá; catturato poi dai predoni mentre tentava di difendere i diritti del monastero, fu lasciato morire di fame.

– A Verona, santa Toscana, che, alla morte del marito, distribuì tutti i suoi beni ai poveri e si dedicò incessantemente nell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme alla cura degli infermi.

– A Foligno in Umbria, beata Angelina da Marsciano, che, rimasta vedova, per oltre cinquant’anni si consacrò esclusivamente al servizio di Dio e del prossimo, dando inizio all’Ordine religioso delle Terziarie Francescane di clausura per la formazione della gioventù femminile.

– A Valencia in Spagna, beato Gaspare de Bono, sacerdote dell’Ordine dei Minimi, che lasciò le armi di principe del mondo per la milizia di Cristo Re e per amore della casa dell’Ordine nella provincia spagnola, che resse con prudenza e carità.

– A Lima in Perù, san Francesco Solano, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori, che per la salvezza delle anime percorse in lungo e in largo le regioni dell’America Meridionale e si adoperò con la predicazione e la testimonianza per insegnare ai popoli indigeni e agli stessi coloni spagnoli la novità della vita cristiana.

– A Londra in Inghilterra, beato Riccardo Langhorne, martire, che, insigne avvocato, fu condannato a morte con la falsa accusa di tradimento sotto il re Carlo II e rese lo spirito sul patibolo di Tyburn.

– In località Cerecca-Ghebaba in Etiopia, beato Ghebre Michael, sacerdote della Congregazione della Missione e martire, che nello studio e nella preghiera cercò sempre la vera fede, entrando in unità con la Chiesa cattolica; patì per questo il carcere e tredici mesi di marce forzate insieme ai soldati con pesanti catene ai piedi, finché morì sfinito dalle fustigazioni, dalla sete e dalla fame.

– Nella città di Nangong nella provincia dello Hebei in Cina, san Giovanni Wang Guixin, martire, che durante la persecuzione dei Boxer preferì morire per Cristo piuttosto che macchiarsi sia pure di una lieve menzogna.

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